
LA NASCITA DI UN CAPOLAVORO
13 borghi, altrettante chiese. Un polmone verde che dai monti lattari scende dolcemente verso il mare della divina Costiera Amalfitana. È qui che siamo nati e abbiamo esportato la pizza in tutto il mondo.
Nel Medioevo, nei forni rurali si usava preparare una panella di farina di segale, miglio e orzo che veniva consumata appena sfornata, insaporita con spezie e lardo.
Erano tempi di povertà, in cui l’unica ricchezza era costituita dalla pazienza, dall’arte preziosissima di fare a mano e di fare bene.
Negli anni la tradizione si è rafforzata: agli inizi del Novecento, la maggior parte delle famiglie, aveva in casa il forno a legna per fare il pane biscottato di farina di grano integrale; ogni qualvolta si preparava la famosa “cotta di pane”, era un rito fare la pizza con lo stesso impasto e veniva condita con pomodori sponsilli (tenuti in conserva sotto i porticati) o con il pomodoro Re Fiascone, con olio di oliva, aglio, origano, sugna e anche qualche cubetto di lardo. La mozzarella non veniva usata per due ragioni: una economica, in quanto il latte si vendeva per il sostentamento quotidiano, l’altra, perché volendoci troppo tempo per cuocere la pizza, la mozzarella si essiccava e perdeva il suo sapore. La pizza così preparata veniva cotta insieme al pane, nel forno senza brace e senza fiamma.

LA TRADIZIONE
Così nasce la tradizione della pizza nera. Simbolicamente legata al colore del lutto e all’immagine del chicco di grano che muore e risorge dalla terra. Per praticità, nacque l’usanza di consumare questa pizza nel giorno dei defunti. Uno dei primi panettieri di Tramonti a produrre la pizza nera, prima della Seconda Guerra Mondiale, è stato Mattiuccio Apicella nella frazione Corsano: dopo averle preparate, le mandava attraverso una stradina di collegamento sul monte del Cimitero. Lungo la panoramica e verdeggiante stradina, “Aniello e Cangiull” ritirava le pizze calde e profumate da Mattiuccio e le vendeva nelle sue ceste di vimini, ripiegate e avvolte nella carta spessa, rigorosamente condite con un denso strato si salsa di pomodoro, che lasciava unte le mani, o con acciughe sotto sale, aglio origano e pomodorini a grappolo tagliati a metà. Solo questo, semplicità, gusto e grande qualità. Ancora oggi la tradizione vive, anche se i tempi moderni ne stanno naturalmente modificando i tratti e le tipicità.

DA TRAMONTI NEL MONDO
Con queste tradizioni nel cuore ed una valigia piena di speranze, molti giovani tramontani hanno lasciato nel Secondo Dopoguerra il paese natio per costruirsi, grazie alla propria arte, un futuro.
Uno di loro particolarmente intraprendente giocò la sua carta, sfidando il destino: fare il Fior di latte come sapeva. E poi perché no? Con esso, fare la pizza! Luigi Giordano si trasformò senza volere in importatore. Di tramontani, di sapori e di passione. Due intuizioni geniali quindi:
latte – abbondante materia prima in loco, da lavorare in gustoso Fior di Latte
pizza – sfruttare la rimanenza per farcire uno dei prodotti più amati della cucina italiana.
Fu così che nacque la prima pizzeria del nord che chiamò “Marechiaro”, tuttora gestita dai figli. E il successo non tardò ad arrivare: le richieste di quella pasta al pomodoro col Fior di Latte filante indussero Giordano a impiantare una fitta rete di ristoranti in tutto il Nord dell’Italia, chiamando a raccolta tutti i pizzaioli originari di Tramonti.
Ad oggi sono circa tremila le pizzerie di tutta Italia a gestione “Tramontana”
Nel 2010 è arrivato a conclusione l’iter per la De. Co. (denominazione comunale) per la Pizza di Tramonti, e attualmente è l’unico Comune Italiano ad avere questo riconoscimento De.Co. La nascita della denominazione comunale vuol dire offrire un certificato di garanzia contro le imitazioni, per tutelare il diritto dei consumatori di gustare prodotti di qualità e per tutelare il nostro paese da imitazioni che ne danneggiano l’immagine e l’economi